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lunedì 28 maggio 2007

White Ragoo

Lo ammetto, il titolo è pretenzioso e fuorviante.

Primo, perchè è in inglese (lift yer handz all ye who know how to properly read - not daring 2 say 'understand' - some pidgin-Englischer words, aye! Me, I'm not).

Poi, perchè "ragù" (o meglio: "raù") si scrive così e non colì.

Infine, perchè non è un ragù nel senso vero e proprio del termine, visto che non ci vogliono 12 (dodici!) ore per la sua preparazione e non servono 852 (tanti!) tipi di carne diversa.

Basta un po' di sarciccia, di quella a punta di coltello o macinata grossa, non piccante e priva di semi di finocchio, come si usa a Mosca.

Astenersi luganeghe.

La sauciccia (o LE saucicce, a seconda di quanta ce ne si vuole mettere dentro) va spellata, spiaccicata con una forchetta e restituita per quanto possibile alla sua originaria costituzione 'a pezzettoni'.

Nel frattempo avrete avuto cura di soffriggere in poco olio un cipollotto sminuzzato (no: non ho detto scalogno) insieme ad un piccolo rametto di rosmarino fresco.

Contemporaneamente, lavate tre o quattro foglie di salvia e altrettante di alloro.

La prima, di solito, me la procuro in uno smart shop in via Oderisi da Gubbio (RM), anche se è di una varietà meno adatta alla cucina.

Il secondo, a parte prelevarlo dalla ormai smunta e rinsecchita corona con cui mi cinsi la testa (di minchia) aprés la laureà, lo trovo nel parcheggio del mio posto di lavoro o incastrato nel filtro dell'aria della mia macilenta Ford Orion bordeaux del '91, Khorakhanè edition.

Il gusto di quest'ultimo può rivelarsi un po' - come dire - pesantuccio: colpa del piombo tetraetile, forse.

Fregatevene, e prima che il soffritto sia solo un vago ricordo abbrustolito, aggiungete la sàvizicchia triturata e una gollata generosa di tavernello bianco o equivalenti in cartone.

Quando la salamella è a metà cottura (solo dio saprebbe come dedurlo: per interrogarlo, provate a chiamare uno di questi numeri e tenetemi aggiornato) si aggiunge al pasticcio un rametto di rosmarino per ciascun commensale, poi la salvia e quindi l'alloro.

Ho dimenticato di dirvi l'ovvio: e cioè, cuocete la pasta (media e contorta, tipo fusilli, se è fresca meglio ancora) , sinnò co' che v'o magnate 'sto schifo?

Se la saucisson è di buona qualità, manterrà un colorito chiaro senza sconfinare nel rosa o peggio nel fucsia fosforescente (come solo poche salsicce sanno fare, tipo quelle spacciate al TODIS).

La pasta, scolata, va mantecata rimestata nella pentola del soffritto e quindi ricoperta con una dose generosa di pecorino grattugiato.

Se proprio volete fare la figura dei gran signori, utilizzate i rametti soffritti di rosmarino (ricordate? uno per commensale, 'tacci loro!) per guarnire i piatti, badando a portarli a tavola con il dito pollice mollemente adagiato nel contenuto del piatto stesso ed il mignolo sollevato che neanche all'acme di una crisi da priapismo.

Al termine del pasto, e solo allora!, potrete dire a loro (i commensali) dove avete preso l'alloro e quanto gli verrà a costare - all'ora - il consulto di un buon nefrologo.

Spero abbiate avuto cura di abbinare al piatto un buon antigelo o al massimo il medesimo tavernello del soffritto, ché non si butta via niente.

Qualora necessitiate di un ulteriore ausilio alla pennica post-prandiale, potete abbinare al piatto qui descritto una lettura in lingua originale del mirabile Trattato sull'Astrolabio di Geoffrey Chaucer.

Da prepararsi ascoltando:

Craxi vostri.

venerdì 11 maggio 2007

La bandiera

Leggenda vuole che la pasta alla carbonara venisse consumata negli ipogei ottocenteschi dell'Italia centro-meridionale, durante le riunioni degli appartenenti alla società segreta della carboneria, da cui per consuetudine acquisì il nome.

Analogamente, la bandiera (nota al volgo anche come pasta rucola e patate) è piatto che lega le sue origini e la sua denominazione ad una società segreta, proto-repubblicana e anglo-pugliese (sulla falsariga della Giovine Italia di mazziniana memoria), di cui non è rimasta alcuna traccia se non le poche e scarne note biografiche del suo fondatore, il teologo luciferino Teodoro Lapatana [ Rocchetta Sant' Antonio (FG) 1828 - Isole Kerguelen (Territori Francesi Meridionali) 1885? ].

Il Lapatana ebbe a codificare questa ricetta durante la sua prigionia nel carcere di Corigliano Calabro, ove si trovò rinchiuso a scontare una pena di anni due (aggravata da una multa di sei baiocchi) per oltraggio al comune senso del reale.

Il patriottismo del Lapatana - unito alla sua smisurata arguzia - gli suggerirono il curioso stratagemma culinario per propugnare (essendo egli collaboratore coatto delle cucine del carcere coriglianense) il suo fervore patriottistico nei confronti della nascente nazione italiana (RIP).

Non si sa se tale opera propagandistica ebbe effettivamente successo: l'unica certezza è che da quel momento, come attestano senza tema di smentita le ricerche dello storico Abulafia, la feccia rivoluzionaria dell'ex regno borbonico volle farsi internare esclusivamente nel carcere di Corigliano, adducendo le più svariate scuse et fantasiose.

Chiunque voglia seguire le orme del Lapatana dovrà procurarsi:

  • patate bianche
  • rucola
  • pomodori da sugo (o polpa di pomodoro in scatola)
  • aglio
  • mezze penne rigate o penne lisce
Per dovere di documentazione riportiamo qui la ricetta originale, rinvenuta nel 1955 sotto forma di graffito policromo in un'intercapedine dei bagni del carcere coriglianense.

"...(chiunque) addesideri appropincuarsi all'arte preparatoria dell'abbandiera dovrà per prima cosa procedere al lesso delle pàtane, duopo averle pelate, lauate et trinciate in guisa di tocchetti.

Dette pàtane dovranno essere allessate in abbundante aqva salata e da essa venir traslate - ad avvenuta coquitura - tramite un mestolo a scolìno che lasci inalterato nel calderone il contenuto liqvido originario seppur restringiuto di misura.

Riportando l'aqva ad ebollitione, sarà dunque cura aggiungervi li maccaroni scelti, badando che questi appartenghino alla nobile familia de li maccaroni cuòrti ovvero medii.

Nel frattempo, all'intrasatta, le pàtane andranno mantenute càlide càlide in un bugliolo coperto.

Aiutandosi cum un autra tìella, soffriggiere l'allio in poco uoglio et dunque aggiungervi la conserva di pomidoro o li pomidoro da sarza precedentemente lessati e spellati e scamazzati.

Salare si vù plè.

A metà coquitura de li maccaroni, aggiungere nuovamente le pàtane lesse alla broda di cottura, seguitare con l'aggiunta de la rucola lauata e sminuzzata gruossolanamente.

A coquitura avvenuta, scolare il tutto mediante schiumarola, aggiungere la sarza di pomidoro preparata a parte et servire con una mano sul quore et l'isguardo ritto ritto verso il cielo.

Che lo appetito vi sia gagliardo.

Si nun risultate aggabbiati (NdT: 'carcerati') et quindi sottoposti a le restrizioni d'ordine manducatorio et bibitorio che tale situazione comporta, potreste pensare di accompaniare la sbobba a lo palato mediante capienti calici di cacc' 'e 'mmitt' de Lauceria.

Beati vobis, sicchè.

Per le medesime rationi potreste addivoler recoprire lo piatto cum freschi trucioli de riqotta stagionata et salata, ma ciò non vi sia d'obbligo.

Vogliate scusarmi, gentili attenditori, se conchiudo
qui la trattatione, che mi comincia lo turno alla lauanderia.

Coriliano di Calabria - giorno terzo de lo mese de Junio a.d. 1878

L.M.GfDP. S.E.

T. Lapàtaine"


Cos'altro aggiungere alla poesia delle parole di cui sopra? Ah, sì: facìteme sapè còmme ve viène!

Da preparare ascoltando:

[ Dedicato alla memoria di Giovanni Passannante ]

lunedì 7 maggio 2007

Pasta alla sarcazzo

Detta pasta è così chiamata perchè di origine ignota, anche se in alcuni testi risulta indicata come "pasta alla saudade" - vista la natura emotivamente melancolica di chi si accinge a prepararla - o "pasta alla Brachetti", a causa dell'innumerevole quantitativo di varianti - palesi et occulte - con cui si configura.

Di sicuro, chi è stato studente universitario fuori sede l'ha preparata almeno una volta, seppur inconsciamente, visto che per la sua preparazione si sfruttano tutte quelle cose (pasta esclusa) di cui ogni frigorifero, anche il più fètido, dispone di default.

Nell'ordine serviranno:

  • Due / tre spicchi d'aglio senza pellecchia
  • Capperi (sotto sale o sott'aceto è ugualo), diciamo un cucchiaio
  • Acciughe (sotto sale o sott'olio è ugualo l'istesso), diciamo cinque o sei di quelle piccole
  • Peperoncini (secchi o freschi è ugualo, anzi no, meglio freschi e possibilmente infernali)
  • Pomodorini (da evitare quelli grandi da insalata), diciamo un grappolo piccolo
Le varianti più raffinate prevedono anche:
  • Pan grattato ('nu pàr 'e cucchiàr 'ra cucina)
  • Pomodori secchi (sott'olio o meno, non importa: in ogni caso la loro presenza esclude i pomodorini)
  • Olive nere (chèlle ca' truàt)

e ovviamente pasta (se lunga da preferire nell'ordine vermicelli, spaghetti, linguine o - extrema ratio - bucatini, se corta fusilli, ziti, penne, mezze penne o rigatoni, se fresca cavatelli o trofie).

Mentre si acconcia la pasta com'è risaputo (acqua -> pentola -> fornello -> sale [POCO!] quando bolle), si prepara in padella il condimento, soffriggendo l'aglio e i peperoncini spezzettati a mezza fiamma in una buona dose d'olio extravergine d'oliva di prima spremitura a freddo (ma va bene pure l'olio scrauso accattato al supermarket, se non vi formalizzate).

Dopo un minuto che l'aglio & il fravaglio hanno cominciato a sfrigolare, si porta la fiamma al minimo e si aggiungono le acciughe (si acciungono :), lasciando la fiamma bassa per evitare che l'acqua contenuta in esse provochi scoppi d'olio bollente che neanche la presa di Gerusalemme.

Ogni tanto scamazzare (pron.: sh'camazza're) le acciughe con un cucchiaiaccio di legno bisunto, in modo da ridurle in poltiglia (evitando di fare lo stesso col cucchiaiaccio).

Tra una scamazzata e l'altra, lavare i pummaroli (chìlli peccerìlli, mi raccomando), tagliarli in quattro parti e conservarli in un piatto di plastica o equivalenti.

Quando delle acciughe non vi sarà più traccia in padella (perchè la loro combustione avrà prodotto una poltiglia oleosa e torbida ancorchè sapida, piccante & agliata) aggiungere i pomodorini tagliati.

A questo punto continuare la cottura alzando la fiamma, badando a che il composto praticamente lavico non si asciughi troppo. Nel qual caso, spegnere la fiamma e maledirsi.

Poco prima che la pasta sia pronta, diciamo 'na minuta, minuta e mezza, aggiungere i chiappari al condimento, mescolare e lasciar sfrucugliare n'altro po'.

Quando la pasta è pronta e scolata, riversarla nella padella ancora su fiamma media e revòtarla con decisione due, tre, quattro volte.

A questo punto, i patiti dell'esotico possono aggiungere un po' di pan grattato per amalgamare il tutto qualora dovesse risultare troppo oleoso (ma va?).

Altre varianti, dicevo, prevedono la sostituzione dei pomodorini freschi con quelli secchi (eventualmente sott'olio), da tagliuzzare e da aggiungere in concomitanza coi chiappari per evitare che poi brucino e sappiano di selvatico.

Il tutto non va impiattato ma servito rigorosamente nella stessa padella usata per cucinare il condimento e accompagnato da una familiare di Peroni ghiacciata (la Baffo d'oro si presta altresì egregiamente) bevuta a canna.

Nel caso in cui al desco sieda più di una persona allora:
  • Se siete in confidenza con il / lo / la / i / gli / le partner, magnate tutti nella stessa padella (con forchette diverse o con la stessa, poco cambia) schizzandovi allegramente d'olio e pangrattato.
  • In alternativa, adducete una scusa e cacciate di casa gli altri maledetti spilorci che sono venuti da voi ad approfittare di quel poco che avevate da mangiare senza manco portare il vino (che tanto non serve, ma questo lo sappiamo io e voi)
Buonappetito, e occhio all'alito!

PS: Ah, già, le olive nere! Snocciolatele (se le avete, capitalisti del menga!), sminuzzatele e aggiungetele al calderone dopo aver maciullato le acciughe.

UPDATE dell'ultima ora (sennò mia moglie s'incazza): per motivi di copyright, si avvisano i gentili lettori che questa ricetta è nota anche come "Pasta alla Stefania".

PPS: Ciao, amore! :D :x

mercoledì 11 aprile 2007

Cacio & Pepe

A quanto pare la pasta cacio & pepe è una specialità laziale, o più precisamente romana, che mi è stata presentata per la prima volta (anche se non servita) in un locale all'aperto in quel del ghetto romano.

In apparenza semplice se non semplicissimo da preparare, come ho potuto constatare a mie spese è in realtà piatto dalla difficilissima acconciatura.

Tutti sono capaci di prepararsi degli spaghetti in bianco da condire con il pecorino grattugiato ed un po' di pepe nero.

Pochi - a quanto si sente in giro - riescono a produrre IL capolavoro.

Il segreto è nell'amido rilasciato dalla pasta durante la cottura: scolare i maccheroni ha il non trascurabile effetto di disperderlo tutto (l'amido, nel lavandino) privando il piatto finale dell'amalgama necessario a differenziarlo da una qualsiasi pasta e formaggio preparata in cinque minuti perchè magari in casa non c'è altro...

Io ho sperimentato almeno due varianti per la sua preparazione. La prima, a singola pentola, e la seconda a pentola doppia.

Convenendo sul fatto che gli ingredienti sono sempre gli stessi (pasta lunga tipo spaghetti, bucatini o tonnarelli, pecorino romano grattugiato, pepe nero da macinare fresco), la preparazione è la seguente:

Prima variante (a pentola singola):

Spezzare a metà gli spaghetti o i bucatini o quant'altro (coi tonnarelli la vedo difficile).
Raccoglierli in una pentola larga da riempire d'acqua fredda sino a che la pasta non è coperta del tutto (ma non troppo). Aggiungere una manciata di sale grosso e porre su fiamma viva.

Non appena l'acqua comincia a bollire rimestare sempre più frequentemente in modo da evitare che la pasta s'attacchi alla pentola.

Continuare con la cottura, eventualmente badando a smorzare la fiamma se l'acqua comincia a schiumare troppo presto, assaggiando ogni tanto e rimestando con frequenza crescente.

Se la quantità d'acqua originaria si rivela adatta, si raggiungerà il punto di cottura della pasta (anche se dipende dai gusti è consigliata comunque una cottura al dente) nel momento preciso in cui l'acqua è quasi del tutto evaporata.

A questo punto smorzare la fiamma al minimo e cospargere di pecorino e pepe macinato, rimestando il tutto in modo da creare un'emulsione di acqua di cottura e formaggio tale da evitare il formarsi di grumi.

Travasare in una ciotola a bordo alto, possibilmente di coccio, e cospargere nuovamente di pecorino e - se è il caso - di ulteriore pepe macinato. De gustibus.

Come si sarà notato, non è necessario scolare la pasta: la ridotta quantità d'acqua con cui è stata riempita la pentola dovrà essere tale da garantire la cottura e al contempo il fondo necessario per l'amalgama che è la principale caratteristica di questo piatto.

E così facendo non serviranno nè preparazioni di acqua fredda e formaggio, o latte e formaggio o acqua di cottura prelevata prima della scolatura dei maccheroni* per raggiungere lo scopo.

In più, l'amido rilasciato dalla pasta durante la cottura (eliminato solo parzialmente dall'evaporazione) darà al piatto una sapidità impossibile da ottenere in altro modo.

Seconda variante (a doppia pentola o "del principiante"):

Si distingue dalla prima solo perchè prevede l'uso di due pentole distinte: nella prima pentola verrà posta una quantità d'acqua maggiore - rispetto alla prima variante - ma comunque MAI tanta quanta ne sarebbe necessaria per cuocere in modo classico la medesima tipologia di pasta. Nella seconda pentola sarà altresì posta una minima quantità d'acqua (non più di tre dita) da utilizzare per rimediare ai propri errori di inesperienza.

La fiamma va accesa viva sotto la prima pentola e a mezza forza sotto la seconda.

La presenza delle due pentole ha lo scopo di permettere una migliore gestione della cottura travasando dalla prima pentola (quella con la pasta) verso la seconda se per caso l'acqua presente in essa dovesse risultare eccessiva, o dalla seconda pentola verso la prima se ci si fosse sbagliati in senso opposto.

Il tutto deve procedere fino a che non si giunge ad una situazione simile a quella descritta al termine della prima variante (pasta ben cotta e poco fondo di cottura ancora presente nella pentola).

La seconda pentola, con il suo contenuto, può anche rivelarsi inutile se si sono fatte le cose con opportuno criterio.

La differenza tra le due varianti risiede nella diversa quantità di amido che può rimanere nel piatto ad opera finita. In ogni caso i risultati che si ottengono non sono molto dissimili.

Gratificazione immensa si ha, a mio parere, nel riuscire a cuocere dei bucatini al dente usando la prima variante senza aggiungere o togliere acqua in corso di preparazione.

Buona abbuffata.

*quelli elencati sono solo alcuni dei possibili rimedi tradizionalmente (!) utilizzabili per ottenere un amalgama solo in apparenza analogo a quello desiderato.