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venerdì 11 maggio 2007

La bandiera

Leggenda vuole che la pasta alla carbonara venisse consumata negli ipogei ottocenteschi dell'Italia centro-meridionale, durante le riunioni degli appartenenti alla società segreta della carboneria, da cui per consuetudine acquisì il nome.

Analogamente, la bandiera (nota al volgo anche come pasta rucola e patate) è piatto che lega le sue origini e la sua denominazione ad una società segreta, proto-repubblicana e anglo-pugliese (sulla falsariga della Giovine Italia di mazziniana memoria), di cui non è rimasta alcuna traccia se non le poche e scarne note biografiche del suo fondatore, il teologo luciferino Teodoro Lapatana [ Rocchetta Sant' Antonio (FG) 1828 - Isole Kerguelen (Territori Francesi Meridionali) 1885? ].

Il Lapatana ebbe a codificare questa ricetta durante la sua prigionia nel carcere di Corigliano Calabro, ove si trovò rinchiuso a scontare una pena di anni due (aggravata da una multa di sei baiocchi) per oltraggio al comune senso del reale.

Il patriottismo del Lapatana - unito alla sua smisurata arguzia - gli suggerirono il curioso stratagemma culinario per propugnare (essendo egli collaboratore coatto delle cucine del carcere coriglianense) il suo fervore patriottistico nei confronti della nascente nazione italiana (RIP).

Non si sa se tale opera propagandistica ebbe effettivamente successo: l'unica certezza è che da quel momento, come attestano senza tema di smentita le ricerche dello storico Abulafia, la feccia rivoluzionaria dell'ex regno borbonico volle farsi internare esclusivamente nel carcere di Corigliano, adducendo le più svariate scuse et fantasiose.

Chiunque voglia seguire le orme del Lapatana dovrà procurarsi:

  • patate bianche
  • rucola
  • pomodori da sugo (o polpa di pomodoro in scatola)
  • aglio
  • mezze penne rigate o penne lisce
Per dovere di documentazione riportiamo qui la ricetta originale, rinvenuta nel 1955 sotto forma di graffito policromo in un'intercapedine dei bagni del carcere coriglianense.

"...(chiunque) addesideri appropincuarsi all'arte preparatoria dell'abbandiera dovrà per prima cosa procedere al lesso delle pàtane, duopo averle pelate, lauate et trinciate in guisa di tocchetti.

Dette pàtane dovranno essere allessate in abbundante aqva salata e da essa venir traslate - ad avvenuta coquitura - tramite un mestolo a scolìno che lasci inalterato nel calderone il contenuto liqvido originario seppur restringiuto di misura.

Riportando l'aqva ad ebollitione, sarà dunque cura aggiungervi li maccaroni scelti, badando che questi appartenghino alla nobile familia de li maccaroni cuòrti ovvero medii.

Nel frattempo, all'intrasatta, le pàtane andranno mantenute càlide càlide in un bugliolo coperto.

Aiutandosi cum un autra tìella, soffriggiere l'allio in poco uoglio et dunque aggiungervi la conserva di pomidoro o li pomidoro da sarza precedentemente lessati e spellati e scamazzati.

Salare si vù plè.

A metà coquitura de li maccaroni, aggiungere nuovamente le pàtane lesse alla broda di cottura, seguitare con l'aggiunta de la rucola lauata e sminuzzata gruossolanamente.

A coquitura avvenuta, scolare il tutto mediante schiumarola, aggiungere la sarza di pomidoro preparata a parte et servire con una mano sul quore et l'isguardo ritto ritto verso il cielo.

Che lo appetito vi sia gagliardo.

Si nun risultate aggabbiati (NdT: 'carcerati') et quindi sottoposti a le restrizioni d'ordine manducatorio et bibitorio che tale situazione comporta, potreste pensare di accompaniare la sbobba a lo palato mediante capienti calici di cacc' 'e 'mmitt' de Lauceria.

Beati vobis, sicchè.

Per le medesime rationi potreste addivoler recoprire lo piatto cum freschi trucioli de riqotta stagionata et salata, ma ciò non vi sia d'obbligo.

Vogliate scusarmi, gentili attenditori, se conchiudo
qui la trattatione, che mi comincia lo turno alla lauanderia.

Coriliano di Calabria - giorno terzo de lo mese de Junio a.d. 1878

L.M.GfDP. S.E.

T. Lapàtaine"


Cos'altro aggiungere alla poesia delle parole di cui sopra? Ah, sì: facìteme sapè còmme ve viène!

Da preparare ascoltando:

[ Dedicato alla memoria di Giovanni Passannante ]

martedì 8 maggio 2007

Fave & Cicorie

Piatto tipico della tradizione contadina pugliese, di recente assurto con pieni onori al rango di raffinatezza culinaria e servito - udite udite! - financo nei ristoranti di un certo livello (i.e. quelli da evitare accuratamente).

Pur essendone estremamente goloso, cerco di limitarne al minimo l'assunzione visto che la sua preparazione è solita lasciare in cucina un caratteristico odore di piedi marci (tipo, per intenderci, superga-d'estate-senza calze).

Ma se si è avvezzi a mangiare taleggio e gorgonzola DOP (o a portare i fantasmini), non c'è problema.

Inoltre, non è un piatto che si può improvvisare visto che la pre-preparazione delle fave (secche) richiede almeno 6 ore, durante le quali queste vanno lasciate a bagno in acqua fredda che le copra bene.

Per continuare con l'acconciatura, bisogna seguire due passi distinti:

1. preparazione della cicoria
2. preparazione delle fave

Il passo 1) è banale: una volta lessate in acqua non salata le cicorie (anche surgelate vanno bene) si procede a saltarle in padella con aglio (tanto), olio (pugliese, hai visto mai!) e peperoncino piccante, preferibilmente fresco.

Il passo 2) è anch'esso banale stanti le premesse: in una pentola di coccio riempita d'acqua salata (poco) aggiungere le fave ravvivate e scolate dall'acqua del bagno di mezzanotte.

Quando l'ebollizione (su fiamma alta) è decisa, e le fave completamente sfaldate - occhio che ci vuole almeno mezz'ora! - recuperare una cucchiara di legno, un foglio di carta e una penna.

Il foglio di carta e la penna servono per annotare - dopo averlo scelto - il verso di rotazione rispetto al quale amalgamare le fave, onde mantenerlo inalterato sino a fine cottura.

Il perchè di questa consuetudine si perde nella notte dei tempi, ma se è vero che i Dogon del Mali conoscono la natura binaria di Sirio (indeterminabile ad occhio nudo), allora un terrazzano potrà ben aver avuto quel minimo di nozioni di tissotropia atte a codificare siffatto procedimento.

Mia moglie (pugliese DOC) mi suggerisce di mescolare il composto in senso orario: interrogata sul perchè, la tizia non rispose.

Ne deduco che

  1. il verso orario è più facile a ricordarsi (a meno che non si siano sempre usati orologi digitali)
  2. mia moglie è una strega
Il rimestìo, da compiersi ogni cinque minuti, termina finalmente quando le fave sono del tutto sfaldate e l'acqua di cottura completamente assorbita.

La consistenza del composto deve essere liquida ma decisa: tipo il mou contenuto nei Mars™) ma ben più granuloso.

L'importante è che nella purea non si individuino grossi grumi leguminosi. Nel qual caso, come già suggerito in occasione di un'altra ricetta, maledirsi abbondantemente.

Il tutto va servito unendo alla purea di fave, spiaccicata in un piatto piano, un grosso quantitativo di cicorie e condito con olio crudo (i.e. appena colato dall'ogliarulo).

Il piatto è consigliato:
  • ai favici antipatici di cui vogliate sbarazzarvi (a loro insaputa)
  • a chi non si formalizza di fronte ad un rutto di soddisfazione a fine pasto.
Al solito, viene meglio se accompagnato da un vino rosso di quelli che macchiano la bottiglia. A tal proposito consiglio il vino di produzione del padre di un mio amico originario di Ferrandina (MT), utilizzabile - qualora necessario - in vece della nafta agricola: lo potete trovare in distribuzione presso qualsiasi stazione Q8 della Basilicata.

Da preparare ascoltando: Tool - ænima (1996) - Stinkfist, per ovvi motivi.

Augh!

mercoledì 11 aprile 2007

Cacio & Pepe

A quanto pare la pasta cacio & pepe è una specialità laziale, o più precisamente romana, che mi è stata presentata per la prima volta (anche se non servita) in un locale all'aperto in quel del ghetto romano.

In apparenza semplice se non semplicissimo da preparare, come ho potuto constatare a mie spese è in realtà piatto dalla difficilissima acconciatura.

Tutti sono capaci di prepararsi degli spaghetti in bianco da condire con il pecorino grattugiato ed un po' di pepe nero.

Pochi - a quanto si sente in giro - riescono a produrre IL capolavoro.

Il segreto è nell'amido rilasciato dalla pasta durante la cottura: scolare i maccheroni ha il non trascurabile effetto di disperderlo tutto (l'amido, nel lavandino) privando il piatto finale dell'amalgama necessario a differenziarlo da una qualsiasi pasta e formaggio preparata in cinque minuti perchè magari in casa non c'è altro...

Io ho sperimentato almeno due varianti per la sua preparazione. La prima, a singola pentola, e la seconda a pentola doppia.

Convenendo sul fatto che gli ingredienti sono sempre gli stessi (pasta lunga tipo spaghetti, bucatini o tonnarelli, pecorino romano grattugiato, pepe nero da macinare fresco), la preparazione è la seguente:

Prima variante (a pentola singola):

Spezzare a metà gli spaghetti o i bucatini o quant'altro (coi tonnarelli la vedo difficile).
Raccoglierli in una pentola larga da riempire d'acqua fredda sino a che la pasta non è coperta del tutto (ma non troppo). Aggiungere una manciata di sale grosso e porre su fiamma viva.

Non appena l'acqua comincia a bollire rimestare sempre più frequentemente in modo da evitare che la pasta s'attacchi alla pentola.

Continuare con la cottura, eventualmente badando a smorzare la fiamma se l'acqua comincia a schiumare troppo presto, assaggiando ogni tanto e rimestando con frequenza crescente.

Se la quantità d'acqua originaria si rivela adatta, si raggiungerà il punto di cottura della pasta (anche se dipende dai gusti è consigliata comunque una cottura al dente) nel momento preciso in cui l'acqua è quasi del tutto evaporata.

A questo punto smorzare la fiamma al minimo e cospargere di pecorino e pepe macinato, rimestando il tutto in modo da creare un'emulsione di acqua di cottura e formaggio tale da evitare il formarsi di grumi.

Travasare in una ciotola a bordo alto, possibilmente di coccio, e cospargere nuovamente di pecorino e - se è il caso - di ulteriore pepe macinato. De gustibus.

Come si sarà notato, non è necessario scolare la pasta: la ridotta quantità d'acqua con cui è stata riempita la pentola dovrà essere tale da garantire la cottura e al contempo il fondo necessario per l'amalgama che è la principale caratteristica di questo piatto.

E così facendo non serviranno nè preparazioni di acqua fredda e formaggio, o latte e formaggio o acqua di cottura prelevata prima della scolatura dei maccheroni* per raggiungere lo scopo.

In più, l'amido rilasciato dalla pasta durante la cottura (eliminato solo parzialmente dall'evaporazione) darà al piatto una sapidità impossibile da ottenere in altro modo.

Seconda variante (a doppia pentola o "del principiante"):

Si distingue dalla prima solo perchè prevede l'uso di due pentole distinte: nella prima pentola verrà posta una quantità d'acqua maggiore - rispetto alla prima variante - ma comunque MAI tanta quanta ne sarebbe necessaria per cuocere in modo classico la medesima tipologia di pasta. Nella seconda pentola sarà altresì posta una minima quantità d'acqua (non più di tre dita) da utilizzare per rimediare ai propri errori di inesperienza.

La fiamma va accesa viva sotto la prima pentola e a mezza forza sotto la seconda.

La presenza delle due pentole ha lo scopo di permettere una migliore gestione della cottura travasando dalla prima pentola (quella con la pasta) verso la seconda se per caso l'acqua presente in essa dovesse risultare eccessiva, o dalla seconda pentola verso la prima se ci si fosse sbagliati in senso opposto.

Il tutto deve procedere fino a che non si giunge ad una situazione simile a quella descritta al termine della prima variante (pasta ben cotta e poco fondo di cottura ancora presente nella pentola).

La seconda pentola, con il suo contenuto, può anche rivelarsi inutile se si sono fatte le cose con opportuno criterio.

La differenza tra le due varianti risiede nella diversa quantità di amido che può rimanere nel piatto ad opera finita. In ogni caso i risultati che si ottengono non sono molto dissimili.

Gratificazione immensa si ha, a mio parere, nel riuscire a cuocere dei bucatini al dente usando la prima variante senza aggiungere o togliere acqua in corso di preparazione.

Buona abbuffata.

*quelli elencati sono solo alcuni dei possibili rimedi tradizionalmente (!) utilizzabili per ottenere un amalgama solo in apparenza analogo a quello desiderato.