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venerdì 21 settembre 2007

Vermicelli alla vietnamita



The title says it all.

Sulla falsariga dell'infame parmesan teutonico, l'ennesimo caso di sfruttamento di un marchio DOP al di fuori dei nostri confini nazional-popolari.

Dove andremo a finire, di questo passo?

In ogni caso, un'ottima fonte di proteine e sali minerali, da includere in ogni dieta che si rispetti...

E adesso vorrete scusarmi, ma vado a vomitare in un cespuglio qua vicino.

lunedì 10 settembre 2007

Musicooking (reprise)


Come promesso, eccovi la traduzione dell'esoterico testo culinario propostovi in collaborazione con i Tool nel mio post precedente.

Per fare sfoggio delle mie capacità linguistiche ve ne propongo la versione in napoletano, a dimostrazione e controprova del fatto che, qualora la città partenopea dovesse divenire - come molti auspicano - stato a sè, avrei un impiego assicurato presso le Nazioni Unite in qualità di traduttore simultaneo di lingue morte (e chìtàmmuòrte).

Ciò mi conforta, anzichenò.

Ma procediamo con la traduzione:

'e 'uàllare / ll'òva 'e Barzabùcco

'na miéza tàzzulélla 'e zùccar' 'mpòvére
'nu quàrt' 'e cùcchiaréll' 'e sàle
'na pònta 'e cùrtiéll' d'àscìscio tùrcomànno
'ddùje ett' 'e 'bbùtìrro
'nu cùcchiaréll' 'e zùccar' vanigliàt'
'ddòje ett' 'e fàrìn'
n' etto e 'mmiéz' 'e nùcélle sbriciulàte
n' àto pùcuréll' 'e zùccar' 'mpòvére...

e niént' òva

Ammùllàt' ògne ccòs' rìnt' a 'nà zupperèlla
aggiungìtéce 'o 'bbùtìrro
dòppo 'e nùcélle sbriciùlate e
'mpastàt' 'a squàrcélla

Cu' 'sta squàrcélla, facìtéce tànta 'uàllare gruòss' còmm' a n'aùliva 'e Cérignòla
ruòtolàtele rìnt' 'o zùccar'
e 'ricìte 'e 'ppàròl càbbalìstiche:

"Aglio, fràvaglie, fàttura ca nùn quàglie; còrna, bìcòrna, càpe 'e àlice e càpe d'aglio"

Schiaffàtéle rìnt' a 'na tòrtiéra ùnta àssaje e
'nfùrnat' a 'dduìciént' gràd' pe' 'nu quàrto d'òra...

E NIÉNT' ÒVA

infùrnat' a 'dduìciént' gràd' pè 'nu quàrto d'òra...

e niént' òva

La poesia di questo testo è, per me, assolutamente struggente, al pari di alcune liriche del sommo Raffaele Petra, Marchese di Caccavone.

Qualora i più acculturati tra voi notassero errori di traduzione o di translitterazione nel passaggio dall'originale in lingua germanica verso l'antico (ma sempre attuale) idioma partenopeo, mi gioverebbe se ciò venisse segnalato tra i commenti.

In ogni caso, abbiate un po' di pietà per un derelitto diplomatosi per corrispondenza presso il celebre istituto di lingue parteuropee 'Zappulla Carmelo' di Caivano (NA).

Jàmme bèlle, jà! :)

giovedì 30 agosto 2007

Musicooking

Il binomio musica e cucina non si è mai dimostrato riuscito. Nel senso che musicare una ricetta è sempre stato ritenuto lessicalmente molto difficile, e a ragion veduta.

Soprattutto in italiano, dove amore può far rima con frullatore e poco altro.

E lo stesso dicasi per tu (sartù / ragù), cuore (sbattitore), sogno (scalogno cipolla), figlia (vaniglia), giorno (forno), sole (scarole), paradiso (insalata di riso), bacio (cacio), pelle (animelle) e bambina (margarina).

Non c'è Mogol che tenga.

Pertanto, sia lode ai Tool per essere stati - se non tra i primi [1] - per lo meno i più efficaci in questo arduo compito.

In particolare mi riferisco alla loro enigmatica Die eier Von Satan, un incrocio musicale tra i rumori assordanti di una pressa idraulica e i sussulti nazisteggianti di una folla in delirio, arringata in tètèsco da un bestione pelato, presumibilmente strizzato in un infausta divisa marrone un po' retrò.

La canzone (mi sia concesso chiamarla così) è contenuta in quel capolavoro assoluto che è Ænima, l'opera che a partire dal 1996 contribuì a far conoscere maggiormente al grande pubblico la miscela esplosiva e affascinante di ritmi dispari e inconsueti, tecnica sovrumana sebbene mai fine a sè stessa, immaginario esoterico e sensibilità fuori dal comune che caratterizzò da quel momento in poi il quartetto californiano.

Ma ciancio alle bande, ed eccovi il testo:

Die Eier von Satan

Eine halbe Tasse Staubzucker
Ein Viertel Teelöffel Salz
Eine Messerspitze türkisches Haschisch
Ein halbes Pfund Butter
Ein Teelöffel Vanillenzucker
Ein halbes Pfund Mehl
Einhundertfünfzig Gramm gemahlene Nüsse
Ein wenig extra Staubzucker...

und keine Eier

In eine Schüssel geben
Butter einrühren
Gemahlene Nüsse zugeben und
Den Teig verkneten

Augenballgroße Stücke vom Teig formen
Im Staubzucker wälzen und
Sagt die Zauberwörter
Simsalbimbamba Saladu Saladim

Auf ein gefettetes Backblech legen und
Bei zweihundert Grad für fünfzehn Minuten backen...

und KEINE EIER

Bei zweihundert Grad für fünfzehn Minuten backen...

und Keine Eier


Se proprio ci tenete ad ascoltarla, allora fatelo tramite il simpaticissimo jukebox fornito da RadioBlog che trovate nella colonna destra di questa pagina. Ricordatevi che le connessioni filtrate da firewall e proxy, che pongono limiti sulle dimensioni e sulla natura dei file scaricabili, possono dare luogo a qualche problema...

In alternativa, acquistate il CD che ne vale la pena.

La traduzione del testo seguirà in un prossimo aggiornamento, tanto per lasciarvi un po' sulle spine (lo so che state fremendo, curiosoni che non siete altro... :)

Vi basti sapere, o miei giovani virgulti, che nulla è come sembra...

Ecco cosa può capitare qualora si venga invitati ad un barbecue a casa di M.J. Keenan
(picture courtesy of toolshed.down.net)


Note:

[1] - Tra i pochi altri grandi artisti che si sono cimentati in un compito analogo giova ricordare (in rigoroso ordine cronologico):
  • Prophilax con Tronco Cionco (da Il Signore Delle Fogne, 1993)
  • Tom Waits con Philipino Box Spring Hog (da Mule Variations, 1999)
  • Ornella Vanoni con Rossetto e Cioccolato (da Noi, Le Donne Noi, 2003)
e scusate se è poco.

Link e testi cercateveli voi, bàmbascioni!

venerdì 27 luglio 2007

L'orrore, l'orrore!

Joseph Conrad mi perdonerà se ho scelto di utilizzare le ultime parole di Kurtz (buonanima) per dare un titolo a questo post.

Ma quanti di voi avranno la pazienza (e il fegato) di osservare il video qui sotto, non potranno non convenire con me che tali parole sono l'unico epitaffio adatto ad un simile scempio.



Interessanti e costruttivi i commenti postati al video su youtube.

A questo punto mi auguro che il simpatico foodguru.com venga denunciato URGENTEMENTE presso il Tribunale Penale Internazionale per crimini contro l'umanità.

"Mistah Kurz - he dead.
A penny for the Old Guy!"

giovedì 19 luglio 2007

Dogmaclastìa

Ovvero:

"Le regole sono come le ginocchia degli attaccanti avversari: esistono solo per essere infrante." (Hans-Peter Briegel)

In ambito gastronomico-culinario (tra tutti i possibili contesti di discussione, quello che decisamente genera i fomenti più astiosi) esistono una serie di precetti che - secondo il senso comune - NON vanno mai violati, pena le occhiate di disapprovazione dei vostri ospiti.

Tali occhiatacce sono generalmente accompagnate da una sequela di balloon da fumetto che recitano cose del tipo:

  • "Ai piatti di pesce va abbinato SOLO il vino bianco!"
  • "ll succo di limone va aggiunto POCO PRIMA di servire il piatto, sennò si ossida!"
  • "Nel soffritto non si usa MAI la cipolla, bensì lo scalogno!"
  • "L'aglio va lasciato SEMPRE incamiciato!"
  • "Il dado da brodo è ASSOLUTAMENTE da evitare!"
  • "Il sale grosso deve essere RIGOROSAMENTE integrale!"
  • "L'olio extravergine d'oliva DEVE NECESSARIAMENTE essere di prima spremitura a freddo e possibilmente lavorato in un frantoio del neolitico!"
  • "GIAMMAI condire funghi e pesce con il formaggio!"
e altre minchiate d'ordinanza.

Ora, io che di cucina ne capisco poco meno che di fisica quantistica ("...mi scusi un attimo, signor Planck, ma in questo momento non posso darle troppa attenzione: l'aspetto domani sera in Via Panisperna per quel convivio cui accennava Niels...") mi sono sempre curato poco di tali dogmi e ho sempre anteposto la curiosità e il gusto personale a qualsiasi tipo di precetto talebano.

Ecco perchè mi è spesso capitato di proporre, in cucina, l'equivalente culinario di un bestemmione a piena gola sotto il baldacchino del Bernini in San Pietro, un rutto fragoroso al culmine del pathos durante la rappresentazione - al Piccolo! - dell'Otellas di Nekrosius, un romanzo di Baricco in libreria, un'auto bianca e azzurra targata L'Aquila e parcheggiata davanti al Roma Club di Testaccio, oppure (gasp!) pagare anzichè essere pagati per andare a vedere un film di Muccino.

Alcune di queste blasfemìe, lungi dall'essermi state ispirate dall'oppio o da una cassoeula consumata a tarda sera, sono il frutto di sporadici e temerari tentativi di provare qualcosa di nuovo nelle rare volte in cui mi è capitato di andare a cena fuori.

Ed è proprio durante una di queste escursioni extramurarie che mi sono imbattuto nella Trattoria del Mare, ad Anzio (RM), un piccolo locale apparentemente senza pretese che giace spaparanzato sul molo del porto commerciale a pochi metri dall'imbarco dei traghetti per Ponza.

La trattoria è gestita da alcuni giovani anziani, e sulle prime non pare proporre nulla di particolarmente innovativo: solito trionfo di antipasti di mare (almeno 15 tipi diversi in un'unica voce sul conto), soliti primi ben curati e secondi altrettanto.

Dei vini non so dire: di lì a poco avrei dovuto guidare su strade parzialmente ignote, e non ho potuto apprezzare - pertanto - la possibilità di tracannare il mio solito litro e mezzo di Gotto d'Oro, da cui il mio disinteresse.

Orbene è stato con spavalderia mista ad un certo grado di ingenuità che ho osato ordinare degli spaghetti ai moscardini. La cameriera mi sorprende chiedendomi: "Ce lo vuole il formaggio sopra? Perchè sa, noi siamo soliti aggiungerci un po' di pecorino romano...".

"Come no!" è stata la mia poco convinta risposta, al punto che la cameriera mi richiede conferma, che giunge alfine positiva e un po' più decisa.

Questo il preambolo.

All'arrivo del piatto, in realtà una vera e propria còfana larga almeno quaranta centimetri e rorida di spaghetti e condimento, mio figlio (due anni e mezzo e nel pieno di una fase di avversione ferina nei confronti di tutto ciò che ha natura casearia) prorompe - a narici tappate - in un candido "Ghe bùzza!".

In effetti l'odore di pecorino misto al sugo di moscardini risulta abbastanza penetrante e, in qualche modo, estremamente stuzzicante all'appetito.

Fatto sta che la còfana si svuota nel giro di pochissimi minuti con somma soddisfazione mia, di mia moglie e di mio figlio, che può dunque riaprire all'aria le sue tenere narici.

Chiedo lumi alla cameriera che ci ha servito e scopro che il cuoco è uso aggiungere il pecorino in modica quantità (un cucchiaio) solo all'atto della rimestatura della pasta con il condimento.

Terminata la cena, gironzolo un po' per agevolare la digestione (ma sarei dovuto tornare a Roma a piedi per ottenere un qualche beneficio epatico) e mi accingo al rientro con in testa il buzzo di scrivere un post su questo evento.

Il conto è risultato onesto, soprattutto tenendo conto della grandeur assiro-babilonese delle porzioni, il servizio preciso e simpatico e la location suggestiva, con le barche ormeggiate a fare da quinta ai tavolini all'aperto.

Unico neo, la frequentazione media a base di cùmenda del litorale, culminata con l'arrivo di un fantomatico e totipotente Ingegnere (no, non io!) che parcheggia praticamente all'interno del locale come fosse il suo garage privato.

Tornando al piatto, questo andrebbe preparato - ad intuito - facendo saltare in padella due spicchi d'aglio insieme ai moscardini puliti e lavati.

Quando i moscardini cominciano a cambiare colore e a restringersi un poco, andrebbe aggiunto un mezzo bicchiere di vino bianco (ma anche la Sprite o il barbera d'Asti possono andar bene visto l'andazzo del post) e, dopo qualche minuto necessario a far cagliare il tutto, anche una goccia di concentrato di pomodoro, pepe nero macinato ed una modica quantità di pachino sminuzzati.

A parte (ma va?) cuocere la pasta, preferibilmente spaghettoni dal calibro delle gomene da diporto, da scolare al dente.

Quando pasta e condimento saranno pronti, unirli insieme ad un cucchiaio generoso di pecorino romano (che poi fanno in Sardegna, ma è un'altra storia) indi far saltare l'amalgama in padella con quel magnifico movimento di polso che fa tanto chèf d'alta scuola, ovvero onanista incallito ed un po' triste.

I pavidi e i timorati di dio possono ricoprire il piatto con un po' di prezzemolo fresco sminuzzato.

Se sentite puzza di stallatico allora vuol dire che avete esagerato col pecorino: pentitevene e recitate tre o quattrocento ave maria. Il piatto sarà ormai compromesso, ma almeno la vostra anima potrà aspirare ad un barlume di salvezza.

Come accompagnamento ci vedrei bene un bel bianco appena liquoroso tipo un Rapitalà (per l'ennesima volta) che ben si sposa con gli afrori caldi e inconsueti della preparazione.

Il piatto è consigliato a tutti tranne che a mio figlio (per ora: ne riparliamo fra un paio d'anni!).

Hai capito, appapà? :)

Da preparare ascoltando:

mercoledì 30 maggio 2007

Calderone di pesce bentonico

Sia lode alla chef Claire Nouvian per aver finalmente svecchiato gli ambienti della cucina internazionale proponendo una variante eccezionalmente ricca e articolata dell'arcinota zuppa di pesce (o cacciucco o bouillabaisse o ciambotta che dir si voglia).

E allora: via i gamberetti, salutate gli scampi, dite addio al palombo e all'umile grongo! Al diavolo le teste di triglia e quelle di cefalo, i merluzzetti, le mazzancolle e il fetentissimo scorfano...

Vi basteranno, semplicemente, delle quantità variabili di:

Come base, a parte la salsa di pomodoro fresco, è necessario un discreto quantitativo di brodo primordiale (privo di glutammato e alghe azzurre, mi raccomando).

Nel pentolone ove avrete preparato il sugo, lasciate macerare gli ingredienti per un periodo compreso tra i tre e i cinque miliardi di anni, mescolando energicamente allo scadere di ogni era geologica.

Mon dieu: les jeux sont fait!

Se il vostro pisciaiuolo di fiducia non dovesse riconoscere 'a voce' alcuni degli ingredienti su menzionati, potete sempre pensare di indicarglieli nell'ottimo specchietto riepilogativo che trovate qui di seguito:


NdA: Nel caso in cui risultiate tra quei pochi sfortunati che non digeriscono la Winteria Telescopa, allora potete sostituirla con l'ottima (ed economica) Mertensia Ovum, senza per questo rovinare la fine palatalità del piatto.

Da preparare ascoltando: Fishbone - Give a Monkey a Brain And He'll Swear He's the Center of the Universe (1993)

mercoledì 23 maggio 2007

φέτα ε τσυκιηε

Questa sera si disputerà in quel di Atene la finale di cèmpsionlìg (pronunciata in accordo alle regole della fonetica galeazziana): ma questo blog non parla di arte pedatoria, né tampoco di calcio moderno.

Però bisogna constatare che non v'è occasione migliore di un evento di tale por[ct]ata, per decidersi a cucinare un piatto greco (ma ROTFL!) la cui esistenza mi è stata svelata da un bergamasco biondo y tinto, presunto bisex e fan di Madonna (via quel 'presunto'!), con cui coabitavo a Milano, in BözenStraße 1.

In verità in verità vi dico che il tipo (ciao Giulio!) era solito preparare la pietanza in un minuscolo microonde (bontà sua): nel ripetermi qui a Roma, in assenza del suddetto microonde, ho scoperto che un comune forno a gas è più che sufficiente, financo quella fetecchia che ho in casa.

Ordunque, come si capisce facilmente dal titolo del post, per incominciare l'avventura abbisognate di:

  1. τσυκιηε
  2. φέτα
  3. un forno
  4. una teglia
mentre i più fantasiosi di voi possono optare per l'aggiunta di una spezia a scelta tra:
  • pepe nero
  • noce moscata
Le τσυκιηε vanno lavate, circoncise in modo da eliminare il prepuzio e il postpuzio alle due estremità, e tagliate in pezzi piccoli, di mezzo centimetro di spessore e dalla forma di quarto di circonferenza.

Se la trigonometria non fa per voi, beh, allora tagliatele come più vi aggrada, anche a forma di patatine playstation™, nel qual caso potreste trovare preferibile usare un bulino o un succhiello anzichè un comune machete da cucina.

Avete affettato le τσυκιηε? Bene, mettetele temporaneamente da parte (detto con voce alla Lucarelli e con le mani congiunte a formare l'immagine di un ragnetto che cammina su uno specchio).

Procedete in modo analogo con la φέτα, ovviamente senza lavarla, pur sapendo che non è pastorizzata (a meno che non siate degli sporchi igienisti: nel quel caso, FUORI DI QUI!).

Sminuzzatela in cubetti della dimensione di una zolletta di zucchero e unitela alle τσυκιηε preparate in precedenza.

Ammischiate il tutto come streghe che rimestano il calderone del sabba, indi depositate il risultato nella teglia che avrete poi cura di informare del fatto che state per infornarla.

Paura, eh? (sempre con la voce del Lucarelli di cui sopra)

Al solito, non preoccupatevi troppo della temperatura del forno, a meno che ad un certo punto non sentiate provenire dalla vostra cucina uno strano odore di plasma gassoso.

Ora, forse non tutti sanno che (cfr. "La Settimana Enigmistica") la φέτα ha un punto di fusione prossimo a quello dell'acciaio temperato misto all'amianto: a tal proposito si pensi che i pompieri di Θεσσαλονίκη sono soliti ungersi il corpo con essa prima di addentrarsi nel ventre degli edifici in fiamme (con il risultato che i pompieri si ustionano lo stesso, mentre gli inquilini rimasti intrappolati trovano il coraggio di fuggire via all'istante a causa del fetore e non devono essere portati in salvo singolarmente).

Perciò, non vi aspettate che la φέτα si sciolga per giudicare finalmente ultimata la cottura: diciamo che la scomparsa delle τσυκιηε - sostituite da un composto nerastro simile alla grafite - è indizio che siete andati un tantinello oltre.

Ovviamente, dovete avere la pazienza e la perseveranza di rimestare ogni tanto l'amalgama con una cucchiara di legno.

Potete ritenervi soddisfatti quando la φέτα si è ben rosolata sino a divenire superficialmente arancione (anche se non ripete un mantra Hare Krishna, va bene lo stesso) e le τσυκιηε sono finalmente rattrappite senza essersi disidratate.

Estraete la teglia dal forno tramite una pinza da fonderia e ricoprite l'ammasso caustico con una delle due spezie elencate un po' più su.

Eccheqquà!

Avrete notato l'assenza di sale aggiunto: ebbene, così come dall'unione tra quel mostro di Klaus Kinski e Ruth Brigitte Tocki (il cui aspetto ignoro, ma non faccio fatica ad accomunarla ad un angelo) è venuta fuori quella topona di Nastassja, anche dalla commistione di un alimento insipido, quali sono le τσυκιηε, e di un alimento sapidissimo qual è la φέτα, può venir fuori qualcosa di splendidamente saporito.

Se proprio non avete della retsina potete berci sopra un Corvo bianco (ma badate bene che sia freddo, eh!). In alternativa, anche un rosso corposo - che non costi meno di due euro e mezzo a bottiglia - si presta bene allo scopo.

"That win the best!", come direbbe il poeta.

Da preparare ascoltando: Aphrodite's Child - "Tribulation" - dall'album "666" (1972).

NdIO: non sapete cos'è la φέτα né tantomeno cosa sono le τσυκιηε? Un buon motivo per pentirvi di non aver fatto il classico (mica come me che ho fatto lo scientifico) :)

lunedì 7 maggio 2007

Hummus (in fabula)

Spesso (due volte in vita mia, una delle quali in occasione del mio addio al celibato) mi è capitato di andare a mangiare da Zenobia, un ristorante siriano piuttosto noto a Roma e localizzato in piazza Dante, a pochi passi da via Merulana.

Orbene, a parte per le sue formosissime danzatrici del ventre, alcune delle quali centocelline DOC, il ristorante mi è rimasto particolarmente impresso perchè è colà che vi ho mangiato per la prima volta (non me ne voglia il compagno Pablo se non ho considerato quella famosa cena a casa sua, ma non mi ricordo bene...) lo hummus, ovvero il purè di ceci - ma è riduttivo chiamarlo così - tipico della cucina mediorientale.

Esso (lo hummus, non Pablo) si distingue per la sua capacità di tornare alla mente, sottoforma di esalazioni gastriche, nei momenti più inaspettati della giornata.

Ciònonostante si rivela comunque un piatto meritevole che si può servire come antipasto, spalmato sui crostini, sul pane arabo o sul pane raffermo (rispetto al quale ha il pregio di coprire l'odore dell'eventuale muffa penicillica), ma soprattutto in accompagnamento ad un secondo di carne.

La mia variante (tanto per cambiare) è stata votata con quattro mezzelune su cinque da parte di una mia conoscente che ha vissuto svariati anni in Egitto (e più precisamente al Cairo, dove ci sono più italiani che a Milano d'Agosto).

Che poi codesta conoscente sia la massima esperta mondiale nell'aprire coi denti le buste dei "Quattro scarti in padella™" poco importa.

Orbene, tornando all'hummus, per la sua esoterica preparazione servono:

  • Un frullatore massiccio, di quelli col contenitore alto (se proprio amate le comodità potete utilizzare in vece del frullatore un docilissimo pestello in alabastro)
  • Ceci in scatola (se proprio volete potete sostituirli - bleurgh! - con quelli secchi lasciati a bagno tutta la notte... Dio che schifo!)
  • Limoni (all'incirca uno per ogni scatola di ceci, più uno accessorio: fatevi voi i conti)
  • Aglio (q.b. per prolungare le esalazioni di cui sopra)
  • Peperoncino (q.b. per rendere il preparato indimenticabile al palato e alle ragadi)
  • Prezzemolo (anche secco, tanto pochi notano la differenza)
  • Una confezione di tahina, la diffusissima crema di sesamo in vendita presso qualsiasi banchetto abusivo ai mercati generali. Questa non ha alternative, per cui procurarsela diventa un obbligo. Occhio a non chiederla ad un poliziotto in borghese.
Cominciare spremendo tutti i limoni tranne quello decorativo, che va tagliato in spicchi sottili dopo essere stato lavato, disinfettato e accompagnato in questura (ho visto gatti pisciare sugli alberi di limone nel giardino di mia nonna, per cui la prudenza non è mai troppa).

Scolare una scatola di ceci alla volta (se il vostro frullatore è mostruosamente potente, procedere con un quantitativo maggiore) badando a lasciare un po' d'acqua nel contenitore.

Versare i ceci nel frullatore (acqua inclusa) insieme ad uno spicchio d'aglio già sminuzzato (se non vi fidate delle lame del coso) e al peperoncino, anch'esso sminuzzato.

Aggiungere una parte di succo di limone (regolarsi in base a quanto è il succo a disposizione) e frullare come delle bestie fino a che:
  1. il frullatore non esplode
  2. i ceci non si suddividono tra quelli che stanno sotto le lame del frullatore e quelli che stanno sopra le lame del frullatore, rendendo innocuo il frullìo dello strumento.
  3. i ceci e il resto degli ingredienti non si trasformano in una crema densa, tipo gelato artigianale
Nel caso 1) mi dispiace. Leggerò di voi in cronaca nera.
Nel caso 2) scuotere (badando ad aver staccato il frullatore dall'alimentazione) il contenitore in modo da riorganizzare la struttura interna del composto e ripartire con il frullìo.
Nel caso 3) complimenti, poi fatemi sapere che frullatore avete.

A parte il punto1), per il quale non c'è rimedio, se per caso non fosse possibile riuscire a schiodarsi dal punto 2) aggiungere un po' d'acqua tiepida, o dell'olio di sesamo (lo troverete in cima alla tahina) o dell'olio d'oliva, in modo da compattare il compattabile.

I fortunati che riescono a raggiungere il punto 3) possono a questo punto ritenersi soddisfatti e dunque aggiungere un bel cucchiaione (o mestolo, se preferiscono) di tahina, per poi ri-frullare il tutto, così, tanto per completezza. Occhio, poi, a non leccare il cucchiaione pena un allappamento palatale degno del più acerbo dei cachi.

Il contenuto va travasato in una bella ciotola di terracotta decorata con una mappa cinquecentesca della città di Damasco.

L'operazione va ripetuta fino a che non si esauriscono i ceci (o fino a che non vi esaurite voi).

A questo punto la ciotola conterrà un composto dal peso molecolare equivalente a quello della kryptonite (e dal colore non troppo dissimile, soprattutto durante una giornata piovosa) che va appianato con un cucchiaio visto che la sua viscosità naturale - analoga a quella dell'asfalto ghiacciato - non glie lo permette.

Il contenuto della ciotola va quindi ricoperto con il prezzemolo tritato e guarnito con le fettine di limone decorativo (se la questura gli dà il nulla osta).

Non mi ricordo se ci metto il sale, forse sì ma poco durante la frullatura.

Enjoy!

E non dite al vostro gastroenterologo di venirmi a cercare... :)

MyChickenTandoori (wannabe)

Allora, come s'è capito sin qua, mi piace molto sperimentare con quel poco di cui solitamente dispongo nel frigo, e fin ora mi è sempre andata bene, nel senso che almeno un pasto (commestibile) al giorno sono riuscito a garantirmelo, da che io ricordi.

Poichè mi picco - coi miei conoscenti - di essere bravo a replicare a casa piatti assaggiati nei luoghi più improbabili (senza chiedere la ricetta), mi sono cimentato in questa replica del pollo tandoori non potendo disporre - però - di:

  • yogurt
  • pollo
  • masala (& massullo, ma questa la capiscono in pochi, soprattutto se hanno vaghi ricordi di Los Angeles '84)
  • le restanti spezie
  • pomodori
  • forno tandoor
In pratica, mi sono ritrovato con:
  • petto di tacchino (non a fette)
  • cinque o sei limoni
  • paprika come fosse coca nel bagno dell'Hollywood
  • zenzero in polvere (almeno questo, eccheccazzo!)
  • forno a gas
e pervaso dallo spirito del dio Ganesh ho proceduto in questo modo.
  1. Ho spremuto TUTTI i limoni con uno spremiagrumi che filtrasse i semi e la pellecchia.
  2. Ho aggiunto un cucchiaio grande di polvere di zenzero alla limonata.
  3. L'ho versata in una ciotola a coppa grande.
  4. Vi ci ho fatto marinare il petto di tacchino tagliato a bocconcini per due / tre ore (in frigo).
Poidichè, ho steso la paprika (dolce) in un piatto grande e vi ho "impanato" (si può dire "impanato" parlando di paprika? Vabbè, diciamo impaprikato) i bocconcini di tacchino.

Li ho disposti in una cazzarola, separati l'uno dagli altri.

Ho infornato a 15.000 °C per 0,3 femtosecondi.

Qualora non si disponesse di un timer da cucina con la risoluzione dei decimi di femtosecondo si può optare per una cottura a spanne, chè l'importante e che il tacchino non si asciughi come le braccia della R.L. Montalcini. Ah, occhio a rigirare ogni tanto i bocconcini!

Se vi avanza paprika nel piatto & qualche ettolitro di brodaglia (come potreste chiamare altresì il misto di limone, succhi proteici del tacchino e zenzero da discount?), mescolateli e aggiungete il risultato nella teglia a metà cottura, in modo da dare un minimo di fondo al preparato.

Il sale va rigorosamente aggiunto dopo aver tirato fuori la teglia dall'altoforno.

Certo, una spruzzata di prezzemolo fresco non avrebbe fatto male, se solo l'avessi avuto.

Buono - in accoppiata - un bel rapitalà ghiacciato. Ma anche una brocca d'acqua fresca di sorgente (che fa molto ayurveda) è la morte sua.

Alla fine Ganesh m'ha sputato in un occhio con la sua proboscide (quella di sopra, maliziosi!).

Poi, però, il cornutazzo s'è sbafato tutto.

Petit-pain arabe (et provocateur)

Detto anche "ruòtolo Yin e Yang" per l'accostamento di componentistica allopatica ma che sta bene insieme (e quanto, oh, solo voi lo potete sapere!).

Occorrenti:

  • Mortazza fresca tagliata fina fina (sotto casa mia ne vendono tre etti a 1,86 Euro)
  • Caciocavallo o provolone piccante (sotto casa mia non ne vendono di buono, per cui approfitto quando torno dai miei e ne faccio scorta)
  • Panino da kebab / shawerma (sotto casa mia ne vendono 10 per 1 Euro)
L'accostamento tra la mortazza infedele e il panino da kebab dell'ortodossia musulmana più pura & dura può provocare scontri culturali a livello intestinale. Con la mediazione del caciocavallo italico, tutto finisce a taralluzzi e vino.

Per la preparazione non credo ci sia bisogno di spiegare nulla, se non che la mortazza va spiaccicata para para nel panino, ricoperta con il formaggio di vostra scelta (rigorosamente uno tra i due su menzionati) e il tutto va arrovogliato come fosse un cannellone.

Nella preparazione si è voluto rendere omaggio a quei sommi esempi d'intellighenzia paramilitare israeliana che suggerivano (se ne parla anche qui) di avvolgere i corpi dei kamikaze palestinesi (o ciò che ne rimaneva) in pelli di maiale, in modo da impedire all'anima (di chitammùrt) di raggiungere il paradiso & le 72 lubriche uri, sconsigliando così agli improvvidi di provarci a farsi saltare in aria un'altra volta (un'altra volta?!?!?!).

Poi, un barbuto muftì dodicenne gli ha spiegato che l'anima dei "martiri" di cui sopra se ne va a ramengo immediatamente appresso all'atto della morte, per cui ciccia.

A proposito di vini, il ruotolo siffatto va gustato in abbinata ad un nobile rosso israeliano, magari uno Shiraz*, in modo da completare appieno il metaforico processo di pace (intestinale più che internazionale).

Se proprio non ne doveste disporre, va bene pure un rosso dei castelli o un primitivo di Manduria. Anche il salice salentino non sfigura.

Per i più avventurosi (e per i discepoli della scuola diplomatica meneghina) sostituire ai caci papabili, una spalmata di gorgonzola piccante.

Jatavènn' a fa'ngùl!

*N.d.IO: maddèche, ahò, manco so cazzhoscritto!