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mercoledì 16 maggio 2007

Sciapò!

C'è chi i funghi li coltiva, chi li raccoglie nei boschi, chi li compra al mercato e chi li fa crescere con noncuranza nel proprio frigorifero.

Non so voi, ma io appartengo all'ultima categoria, come conferma il fatto che il cattura odori che ospito nel frigidaire vi giace stoico sin dal remoto Luglio 2004, in barba alla sua dichiarata durata semestrale.

Semmai vi ritrovaste degli sciampignòn abbastanza grandi (non sto qui a questionare sulla loro provenienza e poi io mi trovo bene anche con gli agarici bisporosi) potreste avere la malsana idea di sbarazzarvene come segue.

Dopo averli lavati, ripuliti della terra e della pellecchia che hanno in cima, scappellateli (dialettale) e tranciate la parte finale del gambo, quella che è di solito a contatto col letame, anche se non siede in parlamento.

Nel frattempo, pìjate un bel pezzo di guanciale (o di materasso, se preferite) - non piccante - e ricavatene tanti pezzi quanti sono le cappelle di cui sopra.

Essendo fungi, dette cappelle dovranno per l'appunto fungere da contenitori per il guanciale, per cui badate a che i pezzi che avete tagliato dal salume non siano né troppo grandi né troppo piccoli per tale scopo.

Farcite ogni cappella con un pezzo di guanciale (orsù! sbrigatevi, che il tempo e tiranno e il pupo piange...)

Contemporaneamente (va bene anche in una dimensione parallela, se ci riuscite) sminuzzate i gambi e saltateli in padella per dieci minuti, a fuoco basso, con aglio, olio (poco!), e una stilla di concentrato di pomodoro, aggiungendo del tamari verso metà cottura.

Se siete tamarri potete pensare di aggiungere all'intruglio anche del prosciutto cotto sminuzzato, che dà al preparato un tocco decisamente zen.

Occhio che il tamari è SALATO, ergo non aggiungete sale...

Amalgamate spesso durante la cottura, assaggiando di tanto in tanto giusto per assicurarvi che i funghi utilizzati siano davvero sciampignòn e non amanite falloidi (se avete questo dubbio, in verità, è meglio che ad assaggiare sia il gatto o la suocera in visita).

Preparato il preparato, usatelo per ricoprire il contenuto delle cappelle (come sopra) in modo da riempire gli eventuali interstizi tra il guanciale e il resto, laddove - di solito - si annida il pigiama o l'uomo nero.

Infornate e informatevi ogni tanto sullo stato di cottura.

Quando i funghi si sono un po'putrefatti e hanno scolato acqua & tamari, estraeteli dal forno con dei guanti da saldatore, quindi ricopriteli con pepe nero macinato fresco e prezzemolo tritato.

Magnateveli alla facciaccia mia, ed affrettatevi a chiamare il micologo al primo accenno di vomito fosforescente: nel caso, il sintomo descritto può essere dovuto alla scarsa qualità del passito di Pantelleria con il quale li avrete accompagnati (Veronelli dei miei stivali!)

Per discutere di eventuali allucinazioni e stati sciamanici contattate pure Carlos Castaneda, se ci riuscite (un piccolo aiutino lo trovate qui).

Il piatto è multiforme, nel senso che a seconda della quantità pro-capite di cappelle (no pun intended) può fungere (no pun intended - reprise) sia da secondo che da contorno: ai postumi l'ardua sentenza.

Da preparare ascoltando: Bardo Pond - Amanita (1996)

A.M.E.N. (Acqua Minerale Effervescente Naturale)

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